lunedì 3 gennaio 2011

Storia di un amore a tre.

C'era una volta una fanciulla innamorata, che vestita di bianco con un tocco di rosso un giorno sposò il suo amato. Insieme partirono per festeggiare l'evento, giunsero quasi dall'altra parte del mondo. I loro piedi toccarono un'isola, la principale tra le isole di un grande arcipelago. Videro volti diversi, ascoltarono una lingua che è come un canto, salirono ai piani alti dei grattacieli, e poi dormirono su stuoie. Mangiarono pesce crudo e ottime pietanze inusuali, fecero il bagno tra i coralli, e soprattutto fecero l'amore.
Tornati dal viaggio, la fanciulla capì che non era più sola, che dentro di lei c'era una nuova vita.
Ogni giorno guardò la sua pancia cambiare forma, ascoltò il suo corpo dare segnali di preparazione e accoglienza, pianse e gioì in balìa degli ormoni. Sussurrò dolcemente il suo segreto, prima al suo amato, e poi lentamente alle altre persone amate. Serbò le sue parole e non urlò ai quattro venti che era "in dolce attesa".
L'attesa si riempì di sogni, di progetti, di speranze, di libri sulla gravidanza e di quelli sull'infanzia, di lenzuolini e lettini, di gomitoli per creare maglioni e cappellini.
L'attesa sfidò la stanchezza, un incidente in autostrada (da cui il "fagiolino" uscì indenne, e saltellante come un cavalluccio marino con le braccia!), la tristezza di non avere il lavoro dei propri sogni, la depressione di chi sente di non fare niente di utile. Poi trasformò questa profonda tristezza in coraggio di ricominciare: l'Università, il teatro, e anche un lavoro per poter dire "anch'io contribuisco a dare basi solide alla nostra famiglia".
L'attesa divenne sempre più gonfia, sempre più visibile, e ogni sera il loro bimbo giocava e si rotolava e si faceva sentire solo da mamma e papà. Si muoveva solo per loro!
Papà gli parlava e gli dava i baci che la mamma non riusciva a dare.
Poi, un giorno, un'ecografia mostrò qualcosa di strano: un'immagine diversa, troppo, da quelle che appaiono normalmente nella stessa fase gestazionale. Bisognava fare un controllo più approfondito.
E divennero settimane di angoscia, di visite mediche, di paura. "La sua gravidanza potrebbe non andare avanti". E la speranza: "Il vostro bambino potrebbe nascere gravemente malato, ed essere attaccato ad una macchina". Sì, quella era la speranza più grande, perché loro - i due innamorati - il loro bimbo lo volevano conoscere, lo volevano guardare negli occhi, lo volevano cullare e amare. Non importava che fosse malato: loro avrebbero saputo curarlo.
Perché non esiste una vita senza sofferenza. Perché non è nascere sani che ti preserva dalla malattia. Perché non è la malattia che ti preclude la felicità.
E pregarono, pregarono, e alle loro preghiere si unirono quelle dei loro familiari, dei loro amici, e degli amci degli amici.
La fanciulla a volte pregava per un miracolo, altre volte chiedeva a Dio di mostrarle la giusta via.
I controlli medici si susseguirono rapidamente, e ogni volta la malattia si era fatta più grave, più devastante. Il piccolo frutto dell'amore non poteva vivere.
I due amanti gli avevano dato un nome, nel frattempo: Théophile. Chi ti chiama per nome ti conosce, c'è scritto nella Bibbia.
Infine, Théophile decise che era giunto il momento di partire, di tornare da dove era venuto. Il Pianeta dell'amore.
Lasciò la sua mamma e il suo papà, dopo essersi fatto sentire ancora una volta, delicatamente, più silenziosamente del solito.
E così, nella pancia della ragazza non c'era più nessuno.
E si chiese se fosse madre o no.
Finché un angelo non le diede la risposta "Femmine un giorno, poi madri per sempre, nella stagione che stagioni non sente".
Sì, lei era mamma. E suo marito era papà. Erano dei genitori senza bambino.
E ora, continuano il loro cammino. Sono tristi, tanto tristi. Avevano preparato tanto amore per il loro bimbo.
L'amore, però, non sparisce come polvere: una volta che c'è può solo iniziare a girare.
E così, io auguro a loro di mettere in circolo quell'amore, di non dimenticare la speranza, di non lasciarsi seppellire dal dolore e dall'assenza. E forse un giorno torneranno a vivere..

Ave Maria di Fabrizio De André
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