lunedì 11 gennaio 2016

And the world looks very different today..

Guardo fuori dalla finestra, cerco su Internet, leggo e rileggo lo status dei miei contatti di whatsapp, e mi chiedo "Niente? Possibile che nessuno manifesti un moto di sofferenza (o quantomeno di dispiacere) per la morte di David Bowie?".
Erano anni che mi preparavo spiritualmente a questo evento. Sapevo che prima o poi sarebbe successo.
Forse il mio cantante (e con questo termine intendo "cantante, artista, figura musicale") preferito. 
Ho usato anche una sua canzone in un mio spettacolo: Five Years. Canzone che apre un album con la potenza caratteristica di quelle composizioni che concludono un film.
Non conosco tutti i suoi dischi, ma è sempre stato una presenza costante nei miei ascolti casalinghi.
Razionalmente, non so perché mi dispiaccia così tanto della sua morte, davvero come se avesse avuto qualcosa a che fare con me. Come se la sua musica fosse stata per me.
Raramente ho pianto per la morte di un cantante. Oggi la gola continua a pizzicarmi.
Sento che David Bowie mi ha trasportata in universi lontanissimi, trascinandomi fuori dal mio corpo per farmi dono di frequenze extraterrestri.
Possibile che nel mio quartiere nessuno soffra? E là fuori?

lunedì 29 giugno 2015

Odissiàmo: avventure teatrali coi bambini

Difficilmente parlo qui sul blog del mio lavoro, se non quando racconto le mie passate sventure, ma la verità è che sì! anche io ogni tanto lavoro e mi diverto pure.
Quest'anno ho condotto un laboratorio di teatro con bambini di un doposcuola, più o meno tutti di prima elementare. Il progetto che avevo presentato era incentrato sull'Odissea di Omero, in particolare ho giocato sul parallelismo tra Odisseo e ciascuno di noi.
Alla fine dell'anno scolastico, abbiamo presentato una breve performance al pubblico (i genitori e i nonni!), intitolata "Odissiamo", che ho creato montando diversi giochi ed improvvisazioni fatti durante l'anno.
Lungi da me il preparare uno spettacolo, e annoiare i bambini con prove su prove di testi che non hanno minimamente a che fare con loro. Lungissimo!
Ho provato solo cinque volte, e spero di essere riuscita a spiegare ai genitori che l'aspetto performativo è importante, certo, ma solo se è la parte più evidente di un processo delicato e attento di formazione, in cui ogni singolo bambino ha potuto esprimersi attraverso il teatro, manifestando il suo essere senza venire giudicato.
La performance è così più un momento di festa e di condivisione, che una recita o un "saggio finale". Come mi ha suggerito mio marito, il nostro era un "assaggio".
Mi piacerebbe condividere con voi l'ultima parte di questa messinscena. L'unica in cui intervenivo io, leggendo un testo scritto dopo aver intervistato i miei bambini.
Un testo che arrivava alla fine di un'Odissea simbolica e giocosa, fatta di guerra in cui si muore dal ridere, suoni misteriosi ascoltati lungo il viaggio, racconti di avventure realmente accaduti ai bambini, musica e danza del ritorno, e infine..Itaca.

Ecco il testo e, come sempre, i bambini stupiscono per i pensieri che fanno.
Grazie di leggerlo!

mercoledì 10 giugno 2015

Dentro non ho colore

Da adolescente per qualche giorno volevo essere bionda, e invece mi feci rossa.
Mi tinsi i capelli di rosso sotto la doccia con una tinta all'ammoniaca che mi bruciò il corpo e mi colorò anche i peli.
Dopo due settimane avevo le punte arancioni e la base marrone.
Tornata al mio colore naturale mi accorsi che era veramente bellissimo e da allora non ho mai più ritoccato i miei capelli. I miei capelli sono di un colore veramente bellissimo.
Fiera della mia vanità.

Ascolto Pino Daniele e non riesco a prepararmi per uscire. Ascolto Pino Daniele su Deezer e dimentico che esiste il tasto "pausa". Ascolto Pino Daniele come se avessi paura che muoia di colpo mentre canta.

Se non vedete il nesso tra le due cose, è perché non vedete me.

mercoledì 1 aprile 2015

Una serie di (im)prevedibili lavori: rappresentante improvvisata da strapazzo.

Lasciate le riccone e la loro collina, iniziai a lavorare per un collega di mio marito (allora era "il mio ragazzo"), il quale voleva lanciare una sua attività di supporto tecnico ai negozianti e aveva bisogno di qualcuno che andasse di porta in porta a vendere il suo pacchetto.
Secondo lui ero la persona giusta.  
Determinata, puntuale, affidabile, convincente

Anche qui, nessun contratto, sarei stata pagata 20 euro a cliente procacciato, più una somma variabile a fine mese.
In pratica il mio compito era quello di battere Torino quartiere per quartiere, parlare coi commercianti, spiegare l'offerta e vendere il prodotto. E poi, essendo una cosa "tra amici", potevo organizzarmi a mio piacimento per i giri da fare, gli orari, etc.
Non mi sembrava molto diverso dai tanti lavori di promoter che avevo già fatto a Milano, e in cui ero sempre stata fieramente bravissima. Avevo sempre convinto parecchia gente a infilare nel carrello della spesa il prodotto promosso.
Invece c'erano degli aspetti che facevano differire questo lavoro da quello di promoter, e io non li avevo considerati:
  • Non sarei rimasta otto ore in un supermercato, ferma immobile al calduccio.
  • Non avrei promosso un prodotto da pochi euro, bensì avrei dovuto vendere un pacchetto un pochino più costoso.
  • I clienti dei supermarket non sono uguali ai titolari di un'attività commerciale.
Iniziai a lavorare e mi accorsi subito che ero un cane mandato allo sbaraglio, senza nessun tipo di formazione commerciale, senza nessun supporto pubblicitario, a vendere qualcosa che a ben vedere non interessava a NESSUNO.
Macinavo chilometri inutilmente. In generale, nessuno mi mandava via a calci in c***, anzi, per lo più finivo bloccata per 50 minuti ad ascoltare gli sfoghi dei commercianti. E soprattutto, molti di loro mi commiseravano dicendo "Poveri giovani. Boia Fauss! Come vi sfruttano".
Probabilmente il mio faccino gentile e i miei modi sinceramente cortesi non bastavano a vendere, ma erano sufficienti per giustificare i negozianti a tenermi lì un'ora per farmi un pippone sullo sfruttamento generazionale.
La nonna dei bambini che curavo fino a pochi giorni prima, incontrandomi nel quartiere, mi disse "Mio marito lo diceva sempre. Venditori si nasce, non si diventa".
Il ragazzo della mia coinquilina invece sosteneva che avrei dovuto fare un battage pubblicitario prima di passare personalmente nei negozi, e che quindi non ero proprio io quella inadatta.
Il lavoro era così poco serio che ognuno si sentiva autorizzato a dirmi la sua, e io mi sentivo sempre più scema.
Pensieri profondi, pur di non ascoltare più un consiglio: "Lalalaa"

Ovviamente, dopo poche settimane e dopo solo 20 euro guadagnati, tornai dal collega di Michel dicendo che non era proprio il lavoro adatto a me.
Intanto avevo l'affitto da pagare. I soldi messi da parte lavorando a Milano stavano esaurendosi.
Cosa potevo fare?
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